Cinema Impero - vista frontale

Quaderni dell’Impero #2 – Spazio del cinema, della cultura, della partecipazione

Cinema Impero - vista frontale
Cinema Impero – vista frontale

Nel progetto di quartiere approvato nel Luglio 2012 l’esigenza fondante l’intero impianto del documento è quella di vincolare la destinazione d’uso dell’ex Cinema Impero alla sua originaria vocazione culturale.

L’esigenza di uno spazio cinematografico e più in generale culturale è l’esigenza più fortemente sentita dai cittadini intervistati che si sono espressi senza esitazione: sì al cinema, sì alla cultura.

Da qui nasce l’ipotesi progettuale che durante l’incontro del 23 Aprile 2013 ha avuto la sua definitiva conferma, ovvero la trasformazione dell’ex Cinema Impero in uno spazio culturale polifunzionale capace di sopperire a una domanda variegata, che emerge con forza da un tessuto sociale composito aperto a tutte le sfumature di un’offerta culturale.

Ci facciamo un cinema?

Opinione pressoché comune è che portare avanti l’idea del classico cinema e/o multisala nel contesto storico attuale non solo ha poco senso ma è un’impresa potenzialmente fallimentare. Opinione fra l’altro condivisa dal proprietario della struttura che su questo aspetto ha sempre nutrito dubbi.

L’elemento interessante emerso però nella discussione è stato che, se la creazione di una sala/multisala cinematografica in senso classico ha poco senso, il “prodotto cinema” in sala si vende, e anche bene.

Due posizioni apparentemente in contraddizione ma che, in realtà, rivelano una verità profonda, ovvero che la sala cinematografica classica non riesce – per programmazione, idea di fondo, tradizione e modello distributivo – a catturare un pubblico che nel frattempo è immerso in un contesto multimediale e transmediale che impone un cambio di registro nella gestione della sala e nell’offerta.

Interessanti, da questo punto di vista, sono stati i contributi dei presenti che, da utenti finali, hanno proposto ciò che non trovano nell’attuale modello di sala/multisala cinematografica:

  • Una programmazione che non si limiti solo alla prima visione magari proponendo specifici slot orari a prezzo agevolato.
  • Una programmazione  che copra fasce orarie diverse, più in linea sia con le esigenze lavorative, sia con i modelli di vita, sia con le abitudini delle nuove comunità.
  • Una programmazione che preveda l’innesto deciso della componente multiculturale con la possibilità di giornate dedicate alle cinematografie delle comunità più rappresentative, magari con la presenza di sottotitoli in italiano da un lato per incentivare l’apprendimento della lingua dall’altro per avvicinare il pubblico italiano a cinematografie poco conosciute.
  • Una programmazione “eterodossa” che consenta di usare il cinema non solo come luogo di fruizione di un film ma anche come spazio in cui godere di eventi musicali o teatrali in diretta.

Che tipo di sala cinematografica facciamo?

Le sollecitazioni sopra descritte hanno consentito anche di affrontare il discorso del tipo di cinema da progettare.
La sala classica con proiettore, schermo e poltrone ha fatto il suo tempo. L’idea emersa è quella di virare decisamente verso il digitale in modo da poter disporre della possibilità della multiprogrammazione (film, musica e teatro) ma anche e soprattutto di innestare un alto livello tecnologico nel progetto complessivo anche per aderire a specifici settori di finanziamento da parte della Comunità Europea.

L’esigenza di avere una sala cinematografica ha così rapidamente ceduto il passo all’esigenza di avere una sala multimediale capace di sopperire – attraverso un gestione attenta e una direzione artistica innovativa – a diverse esigenze e ad aprire nuove e inedite possibilità di impiego della sala stessa.

Solo cinema?

L’esigenza di una sala capace di accogliere una programmazione non solo limitata ai film è la naturale conseguenza del comune sentire emerso con forza durante l’incontro: l’ex Cinema Impero è un naturale contenitore di esperienze artistico/culturali diverse. La sua natura polifunzionale, quindi, nasce quasi ontologicamente dalla sua conformazione strutturale, dalle temperie storiche, dal mutamento dell’audience, dalla composizione culturale, linguistica, scolare del suo potenziale pubblico.

Assunto all’unanimità che la dimensione polifunzionale sia l’unica possibile, l’assemblea ha discusso concretamente su “cosa” la struttura potesse ospitare e sul “come” queste diverse realtà potessero organizzarsi.

L’offerta culturale

Oltre al cinema l’assemblea ha proposto di integrare l’offerta culturale della struttura con spettacoli dal vivo (teatro, danza, concerti), esposizioni e mostre. La complessità dell’interazione fra queste diverse forme di fruizione artistico-culturale ha reso evidente la necessità della ri-progettazione dello spazio in modo da poter creare “aree” dedicate che non comportino disturbo e sovrapposizione. Allo stesso tempo è emersa l’evidenza di strutturare anche la programmazione complessiva secondo due opzioni operative

  • Opzione sequenziale: organizzare e strutturare la programmazione complessiva del centro in modo da evitare sovrapposizioni fra eventi difficilmente conciliabili sia logisticamente sia fruitivamente (es. la proiezione di un film e un concerto, la diretta della prima di opera lirica con la prima di uno spettacolo teatrale)
  • Opzione mutitasking:  è il modo di organizzazione della programmazione più apprezzato che prevede però che la ri-progettazione di cui sopra sia in grado di creare veri zone a “compartimento stagno” non solo nel momento della fruizione ma anche nella gestione dell’ingresso del pubblico.

A margine di questa discussione si è introdotto anche un altro aspetto essenziale che si desidera realizzare nella nuova struttura, ovvero la creazione di spazi non solo di fruizione ma anche di servizio sia in senso generale sia specificatamente destinati al quartiere.

L’offerta di servizi generale

L’assemblea ha convenuto che la struttura polifunzionale dovesse anche offrire un ventaglio di servizi capaci di rispondere alle esigenze delle tante realtà artistiche e culturali della zona. Per tale motivo si è pensato che la parte meno “riconfigurabile” della struttura (ovvero gli ultimi 3 piani affacciati su Via Acqua Bullcante in cui un tempo erano ubicati gli uffici) potessero diventare l’area in cui creare spazi dedicati a

  • Formazione nelle arti dello spettacolo: e quindi corsi di musica, canto, recitazione, regia, montaggio, illuminotecnica etc.
  • Spazi destinati a convegni, seminari, incontri, presentazioni
  • Sale prove (per musicisti, attori, performers) a prezzi popolari
  • Sale post-produzione audiovideo
  • Spazi di co-working per artigiani, artisti e professionisti
  • Spazi ristoro

In seno a questa discussione una delle proposte più interessanti è stata quella di provare a creare, negli attuali ex-uffici, uno spazio di working rotation o co-working da destinare alle produzioni indipendenti cinematografiche, teatrali o musicali. Creare, quindi,  una casa delle arti e culture indipendenti in cui accogliere l’anima più innovativa e creativa del panorama romano e non solo.

L’offerta di servizi al territorio

I rappresentanti delle associazioni dei territori non hanno potuto fare a meno di sottolineare di come, in una simile struttura sarebbe auspicabile realizzare almeno tre servizi di base assenti attualmente nell’area di Torpignattara

  • Una biblioteca (magari arricchita da una ricca collezione di testi cinesi, benalesi, indiani e romeni)
  • Una ludoteca o quantomeno un’area dedicata all’insegnamento dell’arte aperta ai bimbi dai 2 ai 12 anni
  • Una casa della associazioni, ovvero un luogo in cui – a rotazione – le associazioni del territorio possano organizzare riunioni, convegni, incontri o semplici iniziative di natura ludoco-ricreativa.

Bello! E con quali soldi lo facciamo?

Il problema del finanziamento di un simile progetto è stato il cuore dell’ultima parte dell’assemblea. Un tema che ovviamente avrà un ruolo centrale nel progetto partecipato che si avvierà a settembre: ipotizzare qualcosa senza avere una reale prospettiva di finanziamento dell’impresa è semplicemente privo di senso.

Per tale motivo non ci lanceremo a proporre in questa sede soluzioni reali ma solo a riportare le suggestioni più interessanti e – allo stato attuale – capace di avere un orizzonte di concretezza e fattibilità:

  • Progetto finanziato integralmente a capitale pubblico. È l’idea che sembra la più naturale in quanto il progetto si configura come  un’azione di riqualificazione del territorio in cui la struttura insiste. Questo tipo di finanziamento impone che il pubblico (Comune, Regione, Stato etc.) s’impegni a portare il bene fra il suo patrimonio immobiliare consolidato attraverso gli strumenti urbanistici descritti nel primo quaderno e lo gestisca direttamente o attraverso ente/società/associazione preposta.
    Questa tipologia di proposta configura l’iniziativa come un’operazione di recupero e riqualificazione di un bene dismesso all’interno di un contesto di complessiva riqualificazione urbana. Un’impostazione del genere ha l’immediato vantaggio di far rientrare il progetto nelle linee guida degli investimenti integrati territoriali della Commissione Europea e, quindi, rendere realistica la possibilità di attingere ad un bacino di finanziamenti di quasi 2Mld di euro. Altri finanziamenti europei possono essere disponibili nel caso in cui il progetto preveda un alto valore aggiunto tecnologico.
    In questo caso si può vincolare il progetto esecutivo dell’opera e tutto quanto ne consegue a quanto determinato dal progetto partecipato (purché gli enti coinvolti riconoscano il laboratorio di progettazione come luogo in cui si realizza il progetto finale della struttura)
  • Progetto co-finanziato da capitale pubblico. In questo caso il pubblico e il privato si dividono oneri e onori dell’impresa. È una modalità operativa abbastanza diffusa e comporta un livello di contrattazione fra pubblico e privato per fare in modo che l’aiuto pubblico abbia un ritorno collettivo. Anche in questo è possibile ottenere di vincolare tutto o buona parte del progetto esecutivo a quanto determinato dal laboratorio di progettazione partecipata anche se presenta sicuramente maggiori complessità. Infine va detto che, se il progetto si attiene ad alcuni elementi (innovazione tecnologica, alto valore aggiunto in servizi, azione di riqualificazione del territorio) può comunque attingere – anche se in misura ridotta –  a contributi europei.
  • Progetto interamente finanziato da privati. In tal caso gli scenari possibile sono tre
    • Il privato avvia un’attività completamente indifferente alle esigenze del territorio; in tal caso il laboratorio di progettazione diventa il luogo in cui realizzare un strumento di lotta e rivendicazione
    • Il privato avvia un’attività omogenea alle esigenze del territorio; in tal caso il laboratorio di progettazione diventa il luogo in cui realizzare un strumento di dialogo e proposta operativa
    • ultima ipotesi, meno rara di quello che si pensa, è quella che vede il privato “consorziarsi” direttamente con il quartiere – magari attraverso la creazione di una Fondazione a capitale diffuso – affidandogli la gestione dello spazio a fronte di un regime di revenue share sugli incassi complessivi.
  • Progetto interamente finanziato dal quartiere. È il caso più bello, poetico e identitario del mondo. Prevede la costituzione di una Fondazione a capitale diffuso che attraverso la diretta partecipazione economica dei cittadini e di partner coordinati dalla Fondazione acquista il bene, lo ristruttura e lo mette a reddito. Ovviamente in questo caso il progetto partecipato è l’unico progetto possibile e il laboratorio diventa una diretta emanazione della Fondazione stessa.

Fondazione impero: i cittadini si riprendono la struttura

In merito a quest’ultimo punto non possiamo non soffermarci un attimo per descrivere un’ipotesi tutt’altro che peregrina (se la spesa finale di acquisto e ristrutturazione fosse intorno ai 15.000.000€ la spesa pro-capite per gli abitanti dell’area Torpignattara-Quadraro-Pigneto basso sarebbe di circa 350€!!!).

Una Fondazione che gestisce secondo lo schema dell’azionariato diffuso un bene è una forma di reperimento risorse e di controllo diretto della proprietà che ha il pregio di “diffondere” il diritto a tanti soggetti evitando indebite concentrazioni.
Uno strumento autenticamente democratico che, fra l’altro, rafforza il rapporto identitario e d’appartenenza di un bene alla comunità.

Le declinazioni possibili di questa ipotesi sono tre:

  • Acquisizione diretta del bene e sua riconversione sulla base del progetto partecipato
  • Acquisizione di una quota di proprietà con conseguente avvio di un rapporto di partnership con il privato: in tal caso il progetto partecipato può diventare o un progetto condiviso dal privato stesso oppure un progetto che insiste nella quota parte detenuto/assegnato alla Fondazione stessa
  • Acquisizione della sola parte progettuale e gestionale del bene: il proprietario resta lo stesso, la Fondazione usa i fondi raccolti per ristrutturare il bene,  riprogettarlo e condurlo (il tutto secondo quanto definito nel progetto partecipate)

Tutti questi casi sopra descritti sono possibili. In tutti i casi il laboratorio di progettazione partecipata ha un ruolo fondamentale.

Il laboratorio dovrà quindi essere la camera di compensazione necessaria di tutti gli interessi, dovrà essere un luogo organizzato da comitati/organi adeguati (scientifico, editoriale, logistico, relazioni esterne etc.) con un presidio fisso da parte del Comitato di Quartiere Torpignattara (autore del progetto) e delle associazioni che da anni sono partner e hanno dimostrato di avere a cuore il progetto con un commitment diretto nell’iniziativa.

Riteniamo quindi indispensabile che il Laboratorio sia al più presto riconosciuto dal Municipio Roma 5 e dal Comune di Roma come luogo in cui si elabori il progetto ufficiale per la riapertura dell’ex Cinema Impero.